Questa è la versione italiana di un articolo dal nostro magazine danese PLAKATfar. La versione originale si trova plakatfar.dk/blogs/inspiration/vores-liv-i-ospedaletti-italien.
Ci sono luoghi in cui si viaggia. E poi ci sono luoghi in cui si approda – senza sapere bene perché. Quasi tre anni fa abbiamo comprato un piccolo appartamento a Ospedaletti. All’epoca sapevamo solo che c’era qualcosa di speciale. Ora sappiamo che è stata una delle decisioni migliori che abbiamo mai preso.
Ospedaletti è un’oasi nascosta sulla costa nord-occidentale italiana, tra Sanremo e Ventimiglia, vicino al confine con la Francia. La cittadina è riparata dalle ultime pieghe delle Alpi – la catena montuosa si chiama Massiccio dell’Argentera – e forse è per questo che il clima è quasi perfetto. Mite, dolce – ma a volte anche capriccioso, quando il mare si infuria e il vento cambia umore. Come se anche il vento qui si prendesse una pausa.
Ma ciò che rende davvero speciale Ospedaletti è la sensazione di appartenervi.
Insegna smaltata nel borgo vicino di Coldirodi
Siamo stati accolti con un calore che non si può comprare. Da “Dal Baffo” brindiamo con gli artigiani locali mentre ascoltiamo storie su chi possiede quale scooter o chi è imparentato con chi. Al “Bicibar” servono stuzzichini che ti fanno ordinare un altro drink. E da “Gagian” – un piccolo paradiso proprio sulla spiaggia – finiamo spesso a chiacchierare con gli habitué, come se vivessimo lì da sempre.
Al mattino andiamo spesso da Alexandra’s o al Bar Jolly, dove prendiamo il caffè mentre le briciole dei cornetti si moltiplicano sul tavolo, e tutti salutano con un “buongiorno”, anche chi non ci ha mai visti prima. È una sensazione di tranquillità – come se questa città abbia sempre saputo accogliere gli stranieri.

Una passeggiata serale sul lungomare
Siamo diventati locali a metà
C’è voluto un po’ per entrare nel ritmo. Non solo con la lingua, ma con tutto il resto. La siesta, per esempio. Ogni volta che arriviamo dobbiamo riadattarci: negozi chiusi a metà giornata, e cene che iniziano alle otto – proprio quando, in Danimarca, ci laveremmo i denti.
Viviamo in un piccolo appartamento al sesto piano di Villa Nazaret. Nel giardino c’è una panchina dove spesso ci sediamo nel pomeriggio con un drink, godendoci la vista, il sole e la pace. Non serve parlare molto. E va bene così.
Suona bene, e lo è davvero – anche perché da lì si vede tutta la città e il mare in un unico ampio panorama. Al mattino apriamo le finestre e lasciamo entrare il sole, mentre la caffettiera italiana fa il suo dovere.
Quando usciamo, lo facciamo con calma. Non perché siamo diventati pigri, ma perché Ospedaletti lo impone. È una città dove si saluta prima di comprare, e dove possono passare dieci minuti tra l’ingresso del panificio e l’acquisto del pane – perché qualcuno deve raccontarti come suo nipote ha trovato lavoro a Genova.
Proviamo a parlare italiano, e ormai... ce la caviamo. Abbiamo imparato le frasi di cortesia e ci difendiamo con un “due Spritz” o “senza ghiaccio”. Ma diciamolo: gli italiani hanno fatto più progressi con l’inglese di quanti noi ne abbiamo fatti con l’italiano. Per fortuna lo prendono con il sorriso. Ormai capiscono spesso meglio quello che vogliamo dire di quanto lo capiamo noi stessi.
Un centro storico con i colori nella voce
Non serve essere architetti – ma forse lo siamo diventati – per capire perché ci siamo innamorati di Ospedaletti. Il centro storico si sviluppa tra Corso Regina Margherita e il mare, con case dai colori caldi del sole: giallo, rosso, terracotta bruciata, accanto a mattoni sgretolati e balconi pieni di bucato.
Le strade sono strette e tortuose, e anche Google Maps a volte si arrende. Ma è proprio questo il bello. Non ci si perde – ci si smarrisce, nel senso migliore del termine. Come se la città si rivelasse un po’ alla volta.

Le case sembrano portare una fierezza silenziosa. Non sono perfette, ma sono ancora lì. Qualcuno ha dipinto le persiane nel tono sbagliato di verde – ed è proprio questo a renderle perfette. Gli alberi di agrumi crescono ovunque, anche tra le fessure delle mattonelle. Tutto racconta la storia di un posto che non ha fretta di diventare altro da sé.
Lunghe tavolate e feste locali
Chi osserva la vita a Ospedaletti anche solo per poco tempo, si accorge subito che qui si celebra ogni cosa. Non solo le grandi ricorrenze, ma anche quelle più intime e quasi poetiche – la zucchina, un piccolo pesce, o semplicemente una data sul calendario. E lo si fa con stile.
Si portano tavoli lunghi nelle piazze e nelle strade laterali, e in un attimo ci si ritrova seduti gomito a gomito con gli abitanti del posto, a mangiare qualcosa che non si è mai assaggiato prima – ma che sa di festa e appartenenza. Si acquista un biglietto, si riceve posate di plastica e vino in bicchieri di carta, ed è sufficiente così. Si è parte di qualcosa.
Ci siamo ritrovati a tavola con persone mai viste prima, persino con il sindaco, che è davvero parte attiva della vita cittadina. Non pensiamo che lui si ricordi di noi – ma per noi è stato speciale. Perché c’è qualcosa di unico in una città che celebra la sua zucchina con musica, risate e un brindisi insieme al primo cittadino, no?
Motori, rombi e amore locale
Ogni anno, a settembre, Ospedaletti si trasforma in una macchina del tempo con profumo di benzina e fascino all’italiana. Abitiamo praticamente sul circuito – un percorso ad anello attraverso la città, dove un anno si corrono gare storiche di moto e l’anno successivo di auto d’epoca.
Non è la Formula 1 – è una gara con spirito conviviale. I partecipanti arrivano con moto d’altri tempi, caschi lucidi e sorrisi larghi. C’è rumore di motori, clacson e odore di carburante per le strade, ma tutto avviene in un’atmosfera rilassata e gioiosa. Ci troviamo lungo il percorso insieme ai locali, e anche se capiamo solo metà dei commenti in italiano veloce, è impossibile non percepire l’energia e la festa.
È una gioia per occhi e orecchie – anche se c’è chi ne farebbe volentieri a meno. Ma quello che colpisce di più è il cuore pulsante della città: tutti si conoscono, e i piloti vengono salutati come se fossero parenti che passano in sidecar per un saluto.

Ogni anno a settembre c’è la corsa – nel 2024 tocca alle moto
Dai binari alle due ruote
Da Ospedaletti fino a Imperia si snoda una pista ciclabile lunga 35 chilometri, costruita sull’ex linea ferroviaria. In realtà ora arriva fino a Diano Marina – più di 40 chilometri di percorso pianeggiante lungo il Mar Ligure. È un lusso autentico. Una volta erano i treni a separare la città dalle spiagge – oggi ci sono bici, passeggini e pedoni che attraversano il paesaggio lentamente, con il sorriso. Le spiagge sembrano più vicine, più accessibili.
Abbiamo comprato delle bici elettriche. E si è aperto un mondo nuovo. Non solo lungo la costa, ma anche verso le colline, dove prima dipendevamo dalla resistenza delle nostre gambe. Ora affrontiamo i percorsi in pieno relax, con il vento tra i capelli e la batteria che si scarica prima delle gambe.
E sì – non servirebbe usare l’assistenza elettrica sulla pista pianeggiante. Ma lo facciamo lo stesso. Perché possiamo. E perché è divertente. E perché non si deve mai sottovalutare la gioia di scivolare senza sforzo in mezzo al paesaggio. Per noi, la nostra avventura italiana è soprattutto un modo per rallentare. Magari con un aperitivo e uno stuzzichino.

Il mare – il nostro compagno fedele
Forse non è il mare a rendere speciale Ospedaletti. Ma è il mare che lo rende speciale per noi.
Vivere così vicini all’acqua cambia qualcosa dentro. Ci facciamo il bagno, lo guardiamo, lo ascoltiamo. Abbiamo nuotato a maggio e a novembre, sentito il brivido dell’acqua fredda e visto il sole sorgere all’orizzonte con il sale ancora sulla pelle. E quando arriva la tempesta e le onde si scagliano contro la riva, restiamo lì – come se fosse sempre la prima volta.
Il suono del mare è sempre presente. Come un battito sotto tutto il resto. Quando ci svegliamo. Quando andiamo a dormire. Quando ci sediamo sulla panchina in giardino e ascoltiamo. È il tipo di suono che non si può portare via, ma che resta dentro, anche dopo il ritorno a casa.

Un nuovo posto da chiamare casa
Il tempo, sul bordo del Mediterraneo, può cambiare rapidamente. Ci è capitato di essere a Sanremo, con il sole sulle spalle e un bicchiere di vino in mano – e all’improvviso il vento è cambiato, le nuvole hanno coperto le montagne, e siamo dovuti tornare in fretta perché avevamo lasciato le finestre aperte. Ma anche questo fa parte del fascino.
Ospedaletti è ormai la nostra base, il nostro secondo nido, quando partiamo per fotografare. Non solo lungo la costa, ma anche più lontano – in Italia e oltre il confine francese. Carichiamo l’auto o prendiamo le bici elettriche e ci perdiamo nei paesaggi – alla ricerca di colori, forme, e di quel qualcosa che si nota solo quando si guarda davvero.
Ma è sempre a Ospedaletti che torniamo. Con le spalle un po’ più rilassate rispetto a quando siamo partiti. La città è diventata parte della nostra vita – e ci piace pensare di essere diventati, in piccolo, parte della sua.
Non è solo la vista che ci attira. È il ritmo. I suoni. Le abitudini. I bar. Le persone. È quella sensazione che la vita possa prendersi il suo tempo – e che un luogo non debba essere grande per occupare un grande spazio nel cuore.
